mercoledì 6 dicembre 2017

Sto seguendo, insieme a mia sorella, un corso di lettura ad alta voce, leggere apre le menti, allarga il respiro. C'è stato assegnato un compito non facile, riscrivere un racconto di Stefano Benni, non è certo semplice ma stimolante si.

Ne ho scritti due e non so quale preferire, è un po' la situazione del " Vuoi più bene alla mamma o al papà?"
Io li pubblico tutti e due e vada come vada.




I racconto

Il sandalato



 Odio l'estate, il caldo, l'afa, il sudore che appiccica i vestiti al corpo.
Ho perso l'autobus, c'è una cabina vicino alla mia fermata, è guasta.
Mi incammino alla ricerca di un' altro telefono, devo avvisare che ritarderò.
Entro nella stazione, lì un telefono lo troverò sicuramente.
Sono accaldata e nervosa, è Agosto la ressa della stazione mi infastidisce, spintoni, famiglie vocianti, gruppi di ragazzi con lo zaino si danno pacche sulle spalle, barboni petulanti, neri con la loro mercanzia insistenti, odori di umanità sudata ovunque.
Prima della telefonata mi concederò qualcosa di ghiacciato al bar.
I bar delle stazioni sono sempre un po' squallidi, entro.
Mi avvicino al bancone, non mi siedo, non ho tempo.
Ci sono due vecchi nel bar, non credo si conoscano, uno sembra un vecchio turista tedesco sandalo e calzettone compreso, l'altro ha l'aspetto del ragioniere prossimo alla pensione, nel suo completo blu tristezza.
Stanno conversando, anzi no è il turista coi sandali che parla, parla, parla, il ragioniere subisce la sua logorrea.
Io ascolto pezzi del loro dialogo, divento trasparente.
Il vecchio con i sandali parla di speranza, sorrisi, abbracci e baci che solo in una stazione puoi incontrare, parla di solitudine alleviata dalla attenta osservazione della vita degli altri, una vita che a forza di osservarla diventa un po' la sua.
Parla di come sia importante spogliare lo sguardo dai preconcetti ed indirizzarlo là dove non si è mai guardato, guardare oltre per non rimanere ciechi.
Il ragioniere è infastidito e un po' la sono anch’io.
Come può uno restando seduto a sorseggiare una birra capire, comprendere le le vite degli altri?
Che ne sa dei loro dolori?
Delle loro frustrazioni?
Delle gioie?
Degli amori?
E il ragioniere dà voce ai miei pensieri, laconico e schietto.
Bravo, penso, lo ha zittito.
Macché, quello, il sandalato, scusandosi riparte con una nuova tiritera.
Mi allontano, ho finito la mia aranciata e devo fare la telefonata, nel bar c'è un' apparecchio telefonico a gettoni, "arriverò in ritardo ho perso l'autobus" ometto la mia sosta al bar.
Sto avviandomi all'uscita quando il ragioniere mi passa accanto, con passo nervoso se ne va.
La sua mente abituata a calcoli a cifre in colonna non ha sopportato oltre le circonvoluzioni astratte del vecchio. L'uomo coi sandali ha calzature comode su cui viaggiare, lui no.
Prima di uscire mi volto, lancio un' ultimo sguardo al vecchio rimasto solo ma non sconfitto, con i suoi occhi pieni di passione rimira l'immensa umanità viaggiante, ne coglie le sfumature, ne inventa le vite, ne delinea i contorni, apprezza ciò che ha.
Io esco, penso ancora a lui.
Tra poco avrà finito la sua birra e uscirà al caldo della folla estiva.
Mentre salgo sull'autobus mi impongo un'autocritica, cosa ne so io del cuore dell'uomo coi sandali? Forse il tempo lo ha reso fiducioso o forse, è fiducioso per non farsi abbattere dal tempo.
Lo immagino avventurarsi con la sua vita e il suo sguardo, con un sorriso, tra i vari sudori dell'umanità in viaggio, in questo caldo 2 agosto del 1980 alle 10.20 di mattina, a Bologna.


II racconto


Sensazioni
In una stazione i rumori sono infiniti.
Ci sono i treni in partenza e in arrivo .
Le voci della gente, tante lingue diverse, mari di mani che reggono borse, trascinano valige, salutano, accarezzano, si stringono, si sfiorano, mani sudate.
Un’alta marea di passi, svelti, strascicati, piedi che corrono, piedini che saltellano, piedi che marciano, piedi gonfi e doloranti, piedi  che puzzano.
Fiumi di parole, gocce di saluti “Vai, corri che perdi il treno”
Occhi che cercano altri occhi, occhi fissi sul tabellone degli orari, d’arrivo e di partenza, occhi assonnati occhi che brillano, occhi di bimbo ed è già detto tutto.
C’è un’odore agro dolce, invadente e pungente, a volte voluttuoso come il profumo del caffè che esce dal bar.
Ci sono visi, tanti visi, ognuno con la sua espressione, come quella del vecchietto in sandali e calzini dentro al bar, osserva la stazione come un ricercatore curioso attraverso le lenti del microscopio, non si stanca di indagare quella folla errante, e non si stanca di parlarne, vuole condividere il risultato della sua ricerca, desidera far conoscere e spera che anche gli altri possano vedere.
Vedere ciò che tutte le ovvietà e gli stereotipi nascondono agli occhi, ma non ai suoi occhi, lui è avvezzo a questo esercizio.
Se non ci fosse la stazione non saprebbe che farsene del suo tempo, il viaggio degli altri diventa il suo viaggio, dietro la disfatta degli esseri umani accasciati negli angoli, lui vede che nel loro passato non c’è stato solo dolore, perché c’è ancora una traccia di sorriso nell’angolo di quella bocca che vorace divora una focaccia stantia.
Sa che quel monello che tiene stretta la mano della mamma in realtà vorrebbe salire sulle spalle di suo padre e guardare tutte quelle teste dall’alto, sono buffe le teste viste dall’alto e non fanno paura come le gambe sulle quali troneggiano.
Il vecchietto in sandali prova a parlare con uno degli avventori del bar, ma questo per un po’ lo ignora, poi gli risponde ma è scontroso e seccato, lui è un tipo concreto come il suo completo blu e la sua valigia che tiene stretta tra le gambe, anche lui ha il suo viaggio da compiere ma non ne parlerà.
Il vecchio ricercatore di vite, non sa, non può immaginare che quando l’uomo in blu si avvierà verso il suo destino determinerà il futuro di tutti i presenti e nella stazione ci sarà un solo ultimo grande rumore che con il suo boato annienterà tutti gli altri suoni e con il suo afflato spazzerà via ogni odore, profumo , puzza, rimarrà la polvere a volteggiare nell’aria, detriti e morte.

In questo caldo 2 Agosto 1980 a Bologna alle 10:20

venerdì 1 dicembre 2017

CHE FRETTA C'ERA?

 Mi affaccio per accertarmi se nevica o non nevica.
Guardo il parchetto sotto casa, gli alberi hanno ancora le foglie, belle e gialle, un raggio di sole nel pomeriggio grigio e freddo; alzo lo sguardo ed osservo gli altri palazzi, finestre accese, balconi, tetti, poi la mia attenzione viene attirata da mille lucine che riverberano al buio di una stanza sconosciuta.
Un albero di natale acceso.
 Un albero di Natale acceso? 
Il I° dicembre?

Alle luminarie nei negozi ormai non faccio più caso, vengono accese con largo anticipo ormai da tutti i negozi, il supermercato sotto casa non le smonta nemmeno più, la stella cometa ti saluta, spenta, anche il 15 di agosto, ma nelle case no, dai no, per favore no.
Perché questa fretta che arrivi il Natale che passi e che "a posto, così non ci penso più"?
Abbiamo troppa fretta, siamo voraci, non ci lasciamo il tempo di assaporare nulla. La vita è fatta di attimi, sospiri, batter di ciglia, che non vedremo e non sentiremo se non ci fermeremo ad osservare. La vita è un rompicapo in cui perdersi per trovare le differenze e scoprire che sono accettabili così come sono, che non si vince nessun premio se ci si prende il tempo per noi e che non perderemo di certo la vita prendendoci del tempo, anzi la conquisteremo, come si conquista un tesoro.
La fretta fa si che non si possa assaporare con calma un libro, una tazza di te, il gatto sulle ginocchia, i giochi dei bambini, le infinite discussioni su chi decide il gioco, tutte quelle cose che nelle pubblicità, nei film che amiamo ci fanno fremere il cuore e brillare una lacrima negli occhi.
lasciarsi conquistare dagli attimi sarebbe un gran bel regalo di Natale.
Rispettare il tempo, ci farebbe vivere meglio.

Così aspettando la neve promessa dal meteo, che continuo a controllare,  mi godo questo pomeriggio in casa, con mio marito, i miei ragazzi e la gatta.
Aspetto, non ho fretta, non sono io che deciderò se nevicherà o ci sarà il sole.
Anche se porto in casa i doposcì non è detto che nevicherà, così come non arriva il Natale addobbando casa, arriverà quando deve arrivare.