Ne ho scritti due e non so quale preferire, è un po' la situazione del " Vuoi più bene alla mamma o al papà?"
Io li pubblico tutti e due e vada come vada.
I racconto
Il sandalato
Odio l'estate, il caldo, l'afa, il sudore che appiccica i vestiti al corpo.
Ho perso l'autobus, c'è una cabina vicino alla
mia fermata, è guasta.
Mi incammino alla ricerca di un' altro telefono,
devo avvisare che ritarderò.
Entro nella stazione, lì un telefono lo
troverò sicuramente.
Sono accaldata e nervosa, è Agosto la ressa
della stazione mi infastidisce, spintoni, famiglie vocianti, gruppi di ragazzi
con lo zaino si danno pacche sulle spalle, barboni petulanti, neri con la loro
mercanzia insistenti, odori di umanità sudata ovunque.
Prima della telefonata mi concederò qualcosa
di ghiacciato al bar.
I bar delle stazioni sono sempre un po'
squallidi, entro.
Mi avvicino al bancone, non mi siedo, non ho
tempo.
Ci sono due vecchi nel bar, non credo si conoscano,
uno sembra un vecchio turista tedesco sandalo e calzettone compreso, l'altro ha
l'aspetto del ragioniere prossimo alla pensione, nel suo completo blu
tristezza.
Stanno conversando, anzi no è il turista coi
sandali che parla, parla, parla, il ragioniere subisce la sua logorrea.
Io ascolto pezzi del loro dialogo, divento
trasparente.
Il vecchio con i sandali parla di speranza,
sorrisi, abbracci e baci che solo in una stazione puoi incontrare, parla di
solitudine alleviata dalla attenta osservazione della vita degli altri, una
vita che a forza di osservarla diventa un po' la sua.
Parla di come sia importante spogliare lo
sguardo dai preconcetti ed indirizzarlo là dove non si è mai guardato, guardare
oltre per non rimanere ciechi.
Il ragioniere è infastidito e un po' la sono anch’io.
Come può uno restando seduto a sorseggiare una
birra capire, comprendere le le vite degli altri?
Che ne sa dei loro dolori?
Delle loro frustrazioni?
Delle gioie?
Degli amori?
E il ragioniere dà voce ai miei pensieri,
laconico e schietto.
Bravo, penso, lo ha zittito.
Macché, quello, il sandalato, scusandosi
riparte con una nuova tiritera.
Mi allontano, ho finito la mia aranciata e
devo fare la telefonata, nel bar c'è un' apparecchio telefonico a gettoni,
"arriverò in ritardo ho perso l'autobus" ometto la mia sosta al bar.
Sto avviandomi all'uscita quando il ragioniere
mi passa accanto, con passo nervoso se ne va.
La sua mente abituata a calcoli a cifre in
colonna non ha sopportato oltre le circonvoluzioni astratte del vecchio. L'uomo
coi sandali ha calzature comode su cui viaggiare, lui no.
Prima di uscire mi volto, lancio un' ultimo
sguardo al vecchio rimasto solo ma non sconfitto, con i suoi occhi pieni di
passione rimira l'immensa umanità viaggiante, ne coglie le sfumature, ne inventa
le vite, ne delinea i contorni, apprezza ciò che ha.
Io esco, penso ancora a lui.
Tra poco avrà finito la sua birra e uscirà al
caldo della folla estiva.
Mentre salgo sull'autobus mi impongo
un'autocritica, cosa ne so io del cuore dell'uomo coi sandali? Forse il tempo
lo ha reso fiducioso o forse, è fiducioso per non farsi abbattere dal tempo.
Lo immagino avventurarsi con la sua vita e il
suo sguardo, con un sorriso, tra i vari sudori dell'umanità in viaggio, in
questo caldo 2 agosto del 1980 alle 10.20 di mattina, a Bologna.
Sensazioni
In una stazione i rumori sono infiniti.
Ci sono i treni in partenza e in arrivo .
Le voci della gente, tante lingue diverse, mari di mani che
reggono borse, trascinano valige, salutano, accarezzano, si stringono, si
sfiorano, mani sudate.
Un’alta marea di passi, svelti, strascicati, piedi che
corrono, piedini che saltellano, piedi che marciano, piedi gonfi e doloranti,
piedi che puzzano.
Fiumi di parole, gocce di saluti “Vai, corri che perdi il
treno”
Occhi che cercano altri occhi, occhi fissi sul tabellone
degli orari, d’arrivo e di partenza, occhi assonnati occhi che brillano, occhi
di bimbo ed è già detto tutto.
C’è un’odore agro dolce, invadente e pungente, a volte
voluttuoso come il profumo del caffè che esce dal bar.
Ci sono visi, tanti visi, ognuno con la sua espressione,
come quella del vecchietto in sandali e calzini dentro al bar, osserva la
stazione come un ricercatore curioso attraverso le lenti del microscopio, non
si stanca di indagare quella folla errante, e non si stanca di parlarne, vuole
condividere il risultato della sua ricerca, desidera far conoscere e spera che
anche gli altri possano vedere.
Vedere ciò che tutte le ovvietà e gli stereotipi nascondono
agli occhi, ma non ai suoi occhi, lui è avvezzo a questo esercizio.
Se non ci fosse la stazione non saprebbe che farsene del suo
tempo, il viaggio degli altri diventa il suo viaggio, dietro la disfatta degli
esseri umani accasciati negli angoli, lui vede che nel loro passato non c’è
stato solo dolore, perché c’è ancora una traccia di sorriso nell’angolo di
quella bocca che vorace divora una focaccia stantia.
Sa che quel monello che tiene stretta la mano della mamma in
realtà vorrebbe salire sulle spalle di suo padre e guardare tutte quelle teste
dall’alto, sono buffe le teste viste dall’alto e non fanno paura come le gambe
sulle quali troneggiano.
Il vecchietto in sandali prova a parlare con uno degli
avventori del bar, ma questo per un po’ lo ignora, poi gli risponde ma è
scontroso e seccato, lui è un tipo concreto come il suo completo blu e la sua
valigia che tiene stretta tra le gambe, anche lui ha il suo viaggio da compiere
ma non ne parlerà.
Il vecchio ricercatore di vite, non sa, non può immaginare
che quando l’uomo in blu si avvierà verso il suo destino determinerà il futuro
di tutti i presenti e nella stazione ci sarà un solo ultimo grande rumore che
con il suo boato annienterà tutti gli altri suoni e con il suo afflato spazzerà
via ogni odore, profumo , puzza, rimarrà la polvere a volteggiare nell’aria,
detriti e morte.
In questo caldo 2 Agosto 1980 a Bologna alle 10:20
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